Dove fioriscono tutti i talenti

Ogni persona è portatrice di un potenziale unico che vuole esprimersi.

Questa unicità lascia delle tracce in vari modi e contesti. Ricollegando tali indizi, possiamo intravedere un disegno più ampio che rappresenta, per così dire, la vocazione unica di quella persona.

Una delle modalità possibili attraverso cui questa “essenza” si può esprimere è il processo creativo con i materiali. L’artista e arte terapeuta Nona Orbach ha definito Spiritual Blueprint l’impronta unica che emerge quando una persona di qualsiasi età crea qualcosa o gioca con i materiali: un’impronta identitaria costituita dall’insieme di tutte le azioni, le visualizzazioni, i pensieri e i sentimenti che vengono veicolati fisicamente attraverso il processo creativo.

Fotografie di Nona Orbach: la simmetria ricorrente che caratterizza la Blueprint di una bambina

Un atelier dovrebbe essere pensato e progettato come uno spazio che offre le migliori condizioni per tale processo di espressione.

Questo modo di intendere l’atelier rivoluziona molti obiettivi educativi e le relative prassi, il modo di osservare e di interagire: gli apprendimenti curriculari sono il fine ultimo, l’obiettivo in sé, o costituiscono piuttosto un mezzo per realizzare qualcosa, ovvero per dare corpo all’espressione dei migliori talenti di ogni persona?

Gli interessi dei bambini sono il punto di partenza per sostenere gli apprendimenti oppure sono gli apprendimenti a costituire uno strumento per favorire le ricerche e gli interessi dei bambini?   

Io credo che dovremmo adottare la seconda prospettiva, e il setting più coerente per veicolarla è il cosiddetto “studio aperto”, ovvero uno spazio in cui materiali e strumenti possono essere usati liberamente.  La possibilità di scegliere, quindi, è un elemento fondamentale, mentre l’atelierista resta a disposizione per sostenere le ricerche autonome.

Un atelier dovrebbe favorire la libertà di espressione attraverso la molteplicità dei materiali offerti, l’organizzazione spaziale e la qualità delle relazioni tra le persone, in un setting privo di giudizi e aspettative, che accoglie tutte le differenze.

Che dire allora dei laboratori con un tema predefinito o con una selezione ristretta di materiali?

Non credo che esista una soluzione sempre valida: ciò che fa la differenza è il come viene fatta una proposta, con quale obiettivo e con quali margini potenziali di libera espressione. A volte anche il limite può essere uno stimolo per la creatività! Certamente dobbiamo sempre considerare il contesto, per esempio l’età, il numero e le caratteristiche dei partecipanti, i tempi e gli spazi a disposizione, eccetera.

Sarà la conoscenza approfondita dei materiali a far sì che l’atelierista possa supportare e valorizzare i vari processi creativi in atto. Inoltre, dobbiamo sempre vigilare se, all’interno di una proposta specifica, esiste un margine di scelta sufficiente a garantire percorsi diversi, corrispondenti a diversi bisogni e desideri.  

Se durante un’attività sulla trasformazione di strisce di carta un bambino si interessa unicamente al meccanismo della spillatrice… ben venga! Ha trovato il suo “filo” da seguire. Magari, osservando quel bambino nel tempo, scopriremmo che ha una passione per i meccanismi e il funzionamento degli strumenti, e chissà dove questa ricerca lo porterà.

Questa impronta unica, infatti, è presente fin dall’inizio e continuerà ad evolversi nel tempo, pur restando riconoscibile. Anche se abbiamo a disposizione solo poche ore per un laboratorio, e non potremo assistere all’espressione di questo potenziale nel tempo, ci basti sapere che lo abbiamo accolto, e avere fiducia che prima o poi fiorirà.

Immagine di copertina di Nona Orbach