Alla scoperta di sé attraverso i materiali

Da sempre la ricerca di sè, della propria peculiare identità, è il grande tema dell’uomo e di tutto il pensiero umanistico, psicologico, filosofico e spirituale, che di volta in volta ne ha messo in luce aspetti diversi. Ma in fondo, resta sempre la stessa domanda. Chi sono e cosa faccio qui? Una domanda talmente grande in cui ci si può facilmente perdere.

Proveremo perciò a partire in modo molto concreto, cercando di osservare come l’unicità di ogni persona si può manifestare ed esprimere attraverso i materiali (non solo artistici): attraverso il gioco, il processo creativo, la trasformazione e l’interazione con la materia.

Quali indizi emergono e come queste tracce si compongono per farci scoprire qualcosa della nostra identità unica? Infine, come possono diventare uno strumento per favorire quella stessa manifestazione della nostra unicità?

Vorrei partire dalla mia esperienza personale come esempio concreto.

Il primo indizio è uno dei miei giochi preferiti da bambina. Attenzione: non un gioco qualunque, ma uno di quelli in cui potevo immergermi con grande coinvolgimento per un lungo periodo di tempo. Credo che tutti possiamo richiamare alla memoria un ricordo di tale intensità.

In breve, il mio gioco consisteva nel ritagliare delle figure da giornali e riviste, mettere le figure in un sacchetto e poi estrarne una alla volta facendole “parlare”. Le figure cominciavano così a raccontare cose e a dialogare tra loro, costruendo una storia.

Già qui si pone una domanda interessante: perché proprio quel gioco? Cosa mi piaceva così tanto? È importante prestare molta attenzione alla risposta, pur senza forzarla.

Nel mio gioco, quello che più mi piaceva era il momento in cui entrava in scena la nuova figura a sorpresa, quando il precedente equilibrio di relazioni tra le figure si rompeva e doveva essere ricostruito per integrare il nuovo elemento.

Ora facciamo un salto temporale e osserviamo alcuni lavori piuttosto recenti, che ho realizzato qualche anno fa: degli alberi di Natale realizzati a collage da incollare nei biglietti di auguri. La tecnica e i materiali sono simili, tuttavia c’è un prodotto con una finalità ben precisa, che sembra molto lontano dal gioco precedente.

Mi pongo di nuovo la stessa domanda: che cos’è che mi ha coinvolto, che mi è piaciuto di più?

In questo caso, il processo di “composizione” degli alberi di Natale, che prevedeva la combinazione di tre diversi gruppi di figure (corpo centrale, base e decorazioni), mentre il prodotto finito in sè non aveva molto interesse per me.

Nel video qui sotto, vediamo ancora un’altra opera realizzata con carta e riviste, questa volta all’interno di una sessione di arte terapia di gruppo. In questo lavoro, l’elemento più significativo per me era la combinazione sempre diversa delle figure che apparivano nei fori.

A questo punto, possiamo cominciare a intravedere un “filo” che unisce questi primi tre indizi così diversi, al di là della tecnica e dei materiali simili. Si tratta di una certa attrazione per la creazione e la trasformazione di connessioni tra un gruppo limitato di elementi, o potremmo anche dire, per il gioco combinatorio.

È stato davvero sorprendente accorgermi che spesso, quando passeggio sovrappensiero, mi capita di raccogliere degli elementi naturali con dei fori e poi di muoverli come “finestre” sopra delle texture o delle immagini.

Che significa tutto questo, cosa cerco? È solo una coincidenza? Proviamo a dargli credito…

Una volta individuata una pista, cerchiamo di osservare con questa nuova lente altre occasioni in cui ritroviamo lo stesso tipo di piacere, lo stesso gusto del fare, anche spingendoci in contesti apparentemente lontani. Come, per esempio, il progetto di un laboratorio in cui il materiale usato è completamente diverso: delle bottiglie di plastica.

Anche qui, il processo di costruzione procede prima per una “destrutturazione” in diverse forme semplici e poi (con mio grande divertimento) nella ricomposizione delle forme in modi sempre diversi per ottenere delle nuove strutture a tema floreale. Ogni volta il prodotto finale è il risultato di una particolare connessione-combinazione tra le parti.

Andiamo ancora oltre. Che dire di un compito che non possiamo scegliere o che non sentiamo nelle nostre corde? Dal momento che scrivere per me è piuttosto faticoso e poco piacevole, porterò come ultimo esempio la scrittura di un articolo per una rivista.

Per prima cosa, ho cercato una “compagna di gioco”, e la scelta è ricaduta su Laura, bravissima pedagogista con cui allora stavo collaborando per un progetto. Forse stavo inconsciamente cercando di costruire un contesto in cui la mia attitudine a creare connessioni potesse esprimersi.

In ogni caso, ho proposto a Laura di costruire questo articolo attraverso un dialogo tra oggetti, di fatto inventando un gioco con alcune regole: scegliere 5 oggetti significativi dal punto di vista educativo, estrarne a turno uno alla volta e lasciarli “raccontare” il loro valore metaforico. Ogni oggetto doveva connettere il suo racconto a quello dell’oggetto precedente. Abbiamo giocato con gusto e alla fine, l’articolo è stato scritto semplicemente aggiustando il dialogo “orale” tra gli oggetti, che è stato molto piacevole e stimolante.

Credo che la relazione con gli indizi precedenti sia abbastanza evidente. E potrei aggiungere molti altri esempi, ma ormai il punto è sufficientemente chiaro: esiste una specie di filo conduttore sottile, che si esprime in contesti e modalità diversi pur restando riconoscibile, aggiungendo ogni volta una sfaccettatura a un nucleo preesistente.

Come qualcosa di già conosciuto che continua a evolversi e a stupirci.

Ci riconosciamo e ci scopriamo nello stesso tempo.

Naturalmente quello che vi ho mostrato è il mio esempio: ognuno può trovare il suo filo per tessere il suo ricamo, unico al mondo.

In retrospettiva, ho scoperto che anche i miei libri preferiti seguono la stessa pista, e che avevo già scritto dei post su questi temi, senza sapere che fossero in relazione tra loro (“Creare connessioni, pensare per immagini”, “Scrivilo con un fiore”, “Il gioco delle variazioni”).

Se il nostro daimon, come lo chiama Hillman, può operare con un certo margine di libertà, sarà più facile per noi ricostruire il suo disegno, legittimarlo e nutrirlo. Unica raccomandazione: non cercare di chiuderlo in una descrizione precisa, dal momento che continuerà ad evolversi senza sosta.

Si potrebbe forse definire il mistero di ciò che resta riconoscibile attraverso il cambiamento.

Questo potenziale si esprime anche attraverso i materiali, ma ciò non significa che bisogna essere degli artisti. Necessita soprattutto di tempo e del permesso di potersi esprimere.