I miei nipoti amano venire nel mio studio e usare i materiali artistici. Possono scegliere quello che vogliono e utilizzarlo dove e come preferiscono – sul tavolo, sulla parete per dipingere, nel grande contenitore per il gioco della sabbia – mentre io li osservo o lavoro in un altro angolo dello studio. Sono indipendenti, ognuno ha il suo stile e i suoi interessi. Tutti rispettano e guardano con ammirazione il lavoro degli altri, nonostante sia diverso dal loro.
Il più grande ama i colori: mescola, spalma, riempie pagine e fogli di colori a tempera senza stancarsi, con grande energia e perseveranza.
È un bambino “colorista”.
I bambini coloristi sono portati all’azione e alla sensorialità: mescolano, impastano, mettono insieme più cose, fanno confusione, creano dei ritmi. A volte, tali processi creativi producono dei motivi decorativi o degli schemi che si ripetono.
Di solito, in ogni classe si trova qualche bambino o bambina colorista. A differenza della maggior parte dei bambini, essi non sono molto interessati a rappresentare qualcosa di riconoscibile, come una casa o una persona: questa capacità cognitiva si sviluppa al di fuori del loro foglio!
Spesso, all’interno dei contesti educativi, sono più in difficoltà degli altri bambini perché non disegnano ciò che gli adulti (e la società) si aspettano da loro.
Educatori e insegnanti sono per lo più impreparati e un po’ disorientati di fronte a questo fenomeno.
Perciò, quei bambini che disegnano delle immagini riconoscibili saranno gratificati dall’insegnante e dai genitori (“Guarda, ha disegnato un uomo!”), mentre il lavoro di un colorista verrà paragonato alle opere dei suoi coetanei e considerato poco più di uno scarabocchio senza valore, o magari definito ironicamente “un Picasso”. Il bambino, naturalmente, percepirà fin troppo bene questo giudizio.
Un pomeriggio mio nipote mi disse con aria triste:
– Yael mi ha detto che il mio disegno è brutto perché ho disegnato sopra le righe.
Mi spiegò che l’insegnante aveva dato a tutti delle fotocopie con delle immagini da colorare con i pastelli.
– Tu cosa hai risposto?
– Non ho detto niente.
– Quanti anni ha Yael?
– Quattro.
– È anche lei un’insegnante di pittura come me?
– No.
– Bene, quindi in questo caso, ti spiegherò qualcosa che poi tu potrai spiegare a lei e agli altri compagni della tua classe: ogni bambino è unico e ognuno disegna come preferisce. E inoltre esistono tantissimi modi diversi per dipingere e disegnare. Altrimenti, se fossimo tutti uguali, non esisterebbero le mostre e i musei.
Per esempio, alcune opere si chiamano “astratte”: ci sono delle forme, dei colori, dei punti e delle linee, ma nessun cavallo, nessun fiore, uomini o case. Assomigliano a quello che fai tu. Anch’io dipingo così, e le mie opere sono state esposte anche in un museo.
Di’ a Yael che non tu sei obbligato a stare dentro le righe, se non vuoi. Ogni bambino e ogni bambina è il re e la regina del suo foglio, quindi può scegliere. A Yael piace disegnare dentro le righe, come a tuo cugino, e i suoi disegni sono molto belli, ma sul tuo foglio puoi decidere tu cosa fare. Nel disegno non esiste una regola valida per tutti.
Qualche tempo dopo, mio nipote mi disse che Yael aveva cominciato a colorare fuori dalle righe, ogni tanto, anche se di solito restava dentro.
Oggi mio nipote ha 12 anni e suona la batteria. Fin da quando era molto piccolo gli è sempre piaciuto cucinare.
Creare ritmi visivi e musicali, tagliare, tritare e mescolare gli ingredienti in cucina… tutto questo va a comporre metaforicamente un filo conduttore che ci svela le caratteristiche della sua impronta spirituale.
Per i bambini coloristi, la materia e l’esperienza sensoriale costituiscono il cuore del processo creativo. Se vi capita di incontrarne uno, avrà sicuramente bisogno di quel supporto e di quel riconoscimento che il sistema educativo attuale non è in grado di offrire a questa particolare modalità espressiva.
Questo articolo fa parte del progettoGrammar of Drawingdi Suzanne Axelsson, Nona Orbach e Roberta Pucci, ed è stato tradotto in 4 lingue:
I bambini imparano a conoscere il mondo esplorandolo attraverso il corpo e i sensi, per soddisfare dei bisogni motori, sensoriali ed emotivi, in un processo gioioso e ricco dal punto di vista immaginativo. I primi segni che essi tracciano nella materia – sulla sabbia, nel fango, sul muro o sulla pappa che si è versata sul tavolo – sono tutte manifestazioni di una naturale propensione ad apprendere, sostenuta da grande curiosità e interesse. Mente e corpo lavorano in sinergia. Gradualmente, i primi segni casuali e i primi scarabocchi si trasformano in forme e disegni più complessi: tutti i bambini, in ogni parte del mondo, sperimentano questo processo attraverso linee, punti, forme e movimenti, creando sulla carta delle composizioni grafiche sempre più complesse e continuando così ad esplorare il mondo e loro stessi, sia dal punto di vista cognitivo che emozionale.
L’attività grafico-pittorica si sviluppa quindi attraverso il gioco e la ripetizione di esperienze, in un percorso naturale secondo alcuni stadi consequenziali, che sono stati studiati da diversi ricercatori tra cui Victor Lowenfeld, Rhoda Kellogg e Sylvia Fein. La fase dello scarabocchio riveste un ruolo particolarmente importante, in quanto i bambini cominciano ad esprimersi e a comprendere le prime forme universali. Non c’è alcun bisogno di insegnarle o di intervenire, anzi: ciò potrebbe essere persino dannoso. Il processo si sviluppa in modo autonomo, esattamente come si impara a camminare o a stare seduti. I bambini che possono liberamente seguire questo percorso spontaneo svilupperanno un senso di autonomia e di autostima.
Come possiamo vedere nelle immagini qui sopra, il disegno di un bambino di 4 anni e un’incisione sulla roccia di 3500 anni fa (che si trova in Svizzera) si basano sulla stessa struttura di mandala, che appartiene da sempre all’umanità. Ogni bambino intraprende un processo che si fonda su questa eredità e nello stesso tempo, manifesta una propria personale variazione di questo processo, un’impronta spirituale unica (“blueprint” nel testo originale).
È davvero stupefacente il fenomeno per cui i bambini di tutto il mondo, in tutte le culture, attraversano le stesse fasi di un processo universale (dai primi segni accidentali, ai punti e alle linee, alle spirali, ai mandala fino a certe modalità compositive), riscoprendo inoltre – con i suoi tempi e le sue caratteristiche peculiarità- le tre forme di base presenti in ogni civiltà: cerchio, quadrato e triangolo.
Esistono delle differenze fondamentali tra la produzione grafica di un bambino e quella di un adulto. Da sempre, il bisogno di scarabocchiare dei bambini deriva dal piacere sensoriale e dal piacere della scoperta.
Diversamente dagli adulti, essi non hanno alcuna conoscenza della storia dell’arte e non vogliono creare un’espressione artistica consapevole, né i loro scarabocchi hanno necessariamente una finalità comunicativa. Certo, un bambino potrebbe anche vedere il disegno di un amico e provare a imitarlo o disegnare qualcosa per regalarlo alla sua mamma, ma questi non costituiscono gli obiettivi principali della sua attività grafica. La funzione primaria è quella di imparare a conoscere il mondo, secondo i propri tempi e la propria personalità, facendo esperienza in prima persona dei materiali dell’ambiente circostante. Attraverso questo processo, i bambini andranno gradualmente a costruire il loro personale (e nello stesso tempo universale) “vocabolario” di forme, sia dal punto di vista cognitivo che tecnico ed emozionale.
Di cosa hanno bisogno i bambini?
Un bambino ha bisogno del permesso di essere se stesso. La nostra reazione nei confronti dei disegni e degli scarabocchi non dovrebbe essere diversa – dal punto di vista della quantità e della qualità – da quella che abbiamo nei confronti di una costruzione con i Lego o di un’ambientazione allestita dai bambini per un gioco simbolico. Vedo che sei concentrato e che ti piace quello che stai facendo: è sufficiente che l’adulto di riferimento (genitore o educatore) pronunci queste parole, magari accompagnate da un sorriso incoraggiante.
Intervenire in modo eccessivo
Nel corso degli anni, ho maturato la conclusione che ci sia un eccesso di intervento da parte degli adulti nei confronti dei disegni e degli scarabocchi dei bambini, sia a casa che a scuola. Sembra infatti che, per qualche motivo, gli adulti siano più interessati ai disegni che alle costruzioni o ai giochi simbolici dei bambini. Nonostante anche in queste attività si potrebbero osservare degli aspetti interessanti, qui di solito i bambini vengono lasciati giocare senza intrusioni. Troppo spesso, invece, accanto a un bambino che disegna compare un adulto che commenta, che fa delle domande (Cos’è questo? Cosa stai disegnando? Qual’è il titolo del disegno?) o che magari elogia una forma perché ricorda qualcosa (un fiore, un cane, ecc.). In questo modo, il bambino potrebbe tendere a creare altre forme simili per compiacere l’adulto, piuttosto che continuare ad esplorare in modo autentico il proprio processo.
Le motivazioni degli interventi dell’adulto
1. Condizionamento culturale: la fascinazione dei segni che rappresentano immagini o si riferiscono a qualcosa di reale.
Molti adulti non riconoscono il significato degli scarabocchi, considerandoli del tutto casuali e privi di intenzionalità, come se non avessero un senso di per sé ma solo in quanto fase preparatoria per qualcos’altro. Dal momento che, come adulti, siamo attratti dai segni riconducibili a un oggetto conosciuto, tendiamo a creare e a “vedere” delle immagini figurative. La prima volta in cui un bambino indica dei segni che ha tracciato dicendo Mamma! di solito rappresenta un momento memorabile per tutta la famiglia: è la dimostrazione che il bambino ha messo in relazione uno scarabocchio con un’immagine reale, addirittura nominandola.
Nella società occidentale, creare un’immagine e attribuirle un significato verbale è considerata un’operazione ad alto livello cognitivo. Questo condizionamento culturale, che attribuisce molta importanza alle immagini e al linguaggio verbale, fa sì che il bambino venga spinto a raggiungere quel livello il prima possibile. Ecco perché, appena il bambino comincia a chiudere la linea per ottenere una forma, tendiamo a sollecitarlo perché disegni “una persona” e ad accelerare questo processo attraverso commenti e domande mirate.
2. Per sua natura, un materiale artistico implica un prodotto fisico che permane alla fine del processo.
Quando un gioco simbolico (o di altro genere) finisce, non resta alcun prodotto fisico.
L’azione dello scarabocchiare, invece, produce un risultato fisico che diventa un nuovo oggetto nel mondo. Ciò, in qualche modo, genera immediatamente un giudizio comparativo tra le capacità del bambino e quelle dei suoi compagni o fratelli. È come se la nostra mente attivasse una modalità di confronto e valutazione.
Il gioco simbolico con le bambole, per esempio, non evoca questo tipo di reazione così severa. In alcuni casi, l’opera di un bambino potrebbe addirittura essere associata a un artista (Sembra quasi Picasso!) nonostante il punto di partenza sia completamente diverso.
Come conseguenza, questo tipo di approccio dell’adulto cerca inconsciamente di accelerare lo sviluppo del linguaggio grafico dei bambini verso una rappresentazione più comprensibile dal punto di vista figurativo.
3. Ansia e preoccupazione rispetto un’adeguata preparazione del bambino per la scuola primaria.
I nostri bambini sono nati in una società capitalistica dove leggere e scrivere vengono considerate abilità molto importanti. Perciò, il fatto che un bambino impari a leggere o a scrivere molto presto è ritenuto un traguardo altrettanto importante. Ecco perché in molte scuole dell’infanzia e anche in molte case, si tende a incoraggiare l’apprendimento della scrittura e della lettura, a far colorare o copiare delle immagini prestampate anche se ciò non corrisponde alle fasi dello sviluppo naturale.
Tutto questo esprime l’ansia e la preoccupazione degli adulti, la speranza che – così facendo – il bambino sia avvantaggiato e pronto per la scuola primaria (e in definitiva, per la vita stessa).
4. Spesso in età adulta l’uso della matita è relegato alla scrittura.
Quando mi capita di osservare genitori e familiari in una scuola dell’infanzia, noto che una matita viene immediatamente associata alla rappresentazione di un’immagine riconoscibile o alla scrittura. Com’è possibile questo rimando così esclusivo alla scrittura, quando ci troviamo di fronte a un bambino che sta scarabocchiando? Forse abbiamo dimenticato quel tipo di esperienza e di movimento libero sulla carta? Siamo in grado di richiamare la magia di quell’esperienza ormai dimenticata, magari osservando e cercando di imitare un bambino?
Quindi cosa dovremmo fare?
Prima di tutto, rallentare. Tutti abbiamo ereditato dai nostri antenati la capacità di creare dei segni. Secondo diversi studi sull’apprendimento, la maggior parte dei bambini imparerà a leggere e a scrivere quasi in modo indipendente intorno all’età di sei anni, che corrisponde al momento in cui il cervello è pronto per questo tipo di abilità.
Perciò la nostra preoccupazione è inutile: quando sarà il momento, ogni bambino traccerà linee, punti, spirali, le tre forme di base – cerchio, quadrato e triangolo – così come le prime lettere dell’alfabeto. Non c’è alcun bisogno di incalzare i tempi… ma solo del permesso di scoprire le cose da soli.
Lo scarabocchio e il disegno rappresentano gli antenati della scrittura e sono necessari allo stesso modo.
L’infanzia è un’opportunità irripetibile di felicità e di creatività, il paradiso dello scarabocchio e della presenza dell’essere. Pertanto, è fondamentale lasciare che i bambini possano scoprire in autonomia questa meraviglia. Sarà per loro una scoperta emozionante di un mondo completamente nuovo. E se concederemo ai bambini questa possibilità, anche noi adulti potremo rivivere con loro una seconda infanzia.
Questo post fa parte del progetto Grammar of Drawing di Suzanne Axelsson, Nona Orbach e Roberta Pucci, ed è stato tradotto in 6 lingue: