di Roberta Pucci con i contributi di Lucia Pec e Mascia Premoli
Immagine di copertina: Lucia Pec
La sabbia è una materia evocativa e arcaica, formata nel corso di migliaia di anni dall’erosione di rocce, perciò infinitamente più vecchia di noi. In alcune culture è associata al deserto, a eventi biblici, agli antichi profeti. La sabbia è simbolo dell’infinitamente piccolo e della moltitudine.
Lo chiamiamo granello di sabbia.
Ma lui non chiama se stesso né granello né sabbia.
Scrive Wisława Szymborska nella sua poesia “Vista con granello di sabbia”.
Del nostro sguardo e tocco non gli importa.
Non si sente guardato e toccato.
E che sia caduto sul davanzale
È solo un’avventura nostra, non sua.
La materia non ha ancora un nome prima di nascere nella coscienza di un essere umano; in un certo senso, comincia ad esistere attraverso la nostra consapevolezza. A noi, quindi, la responsabilità di attivare un’interazione e attribuire senso, plasmare e creare, con l’accortezza, però, di lasciare spazio anche all’identità della materia, nel rispetto e nella valorizzazione delle sue caratteristiche.

Con quali azioni potremmo attivare “un dialogo” con la sabbia? Con quali strumenti? Come questo materiale si può trasformare? O meglio, quali azioni ci suggeriscono le sue caratteristiche?
La sabbia è composta da miliardi di granelli non cementati, cioè senza una forza di coesione che li tiene uniti. È quindi un insieme di tanti, piccoli elementi separati. Possiamo far esperienza di questa qualità semplicemente lasciandola scorrere tra le dita o facendola cadere, ancheutilizzando vari contenitori. A seconda dello strumento e del movimento, la sabbia cadrà in modo diverso, creando diversi tipi di textures e “ammucchiamenti”.


A causa della sua granulosità e delle minuscole dimensioni dei granelli, la sabbia può accogliere qualsiasi forma, facendole spazio e trattenendone l’impronta come un calco “negativo”. Potremmo dire, perciò, che la sabbia ha una memoria a breve termine e racconta storie estemporanee.


Inoltre, come tutte le materie granulari, la sabbia non ha una forma propria, ma assume quella del suo contenitore. Il confine è dato dal contenitore stesso. Ciò rende la sabbia un materiale interessante per il gioco dei travasi e un’altrettanto interessante metafora sul rapporto contenuto-contenitore.

Chi non ha mai ribaltato un secchiello pieno di sabbia bagnata in spiaggia per fare un castello? Ma qui entra in gioco un elemento chiave nella grammatica della sabbia: l’acqua. Nella sabbia bagnata, minuscole goccioline d’acqua legano tra loro i granelli, che così formano una massa più compatta, e modellabile (almeno entro certi limiti). L’acqua tende inoltre a scurire la sabbia perché igranellini bagnati riflettono meno la luce, che viene assorbita anziché riflessa.


Una distesa di sabbia bagnata costituisce una superficie ottimale per accogliere le impronte di qualsiasi oggetto. È un invito sempre aperto a creare una composizione visiva, magari usando le cose trovate sulla spiaggia.


La sabbia bagnata può anche essere modellata con le mani. Mi piace molto osservare le sculture create sulla spiaggia. Nel tempo ho potuto notare alcuni temi ricorrenti: rettili, pesci, tartarughe, sirene, sedie e cuscini, dinosauri, castelli, piante di città viste dall’alto.

Ma un tema figurativo non è necessario per cominciare o legittimare un processo creativo, anzi: l’assenza di un’immagine riconoscibile a volte ci solleva dall’ansia da prestazione e dai giudizi estetici.
Perché non provare a interagire con il materiale semplicemente entrando in relazione con l’ambiente circostante, cercando connessioni attraverso le forme che il contesto suggerisce?


In uno spazio più ridotto, possiamo invece esplorare le tracce del movimento di vari oggetti e strumenti: come reagisce la sabbia? Che tipo di segni e textures si formano “per sottrazione”?


Naturalmente, la sabbia invita anche a tracciare dei segni in modo intenzionale, per rappresentare qualcosa, scrivere o disegnare. Un tavolo o una lavagna luminosa amplifica ancora di più questo processo.

Tutte queste trasformazioni sono sempre reversibili. La sabbia, infatti, è fortemente connotata dal senso dell’effimero. All’esterno, il vento la porta via, la modella, ricordandoci l’impermanenza delle cose. La spiaggia è vulnerabile di fronte alle forze elementari del mare.

Qual è la tua esperienza con la sabbia, in che modo ti piace interagire con questo materiale? Quali sensazioni e associazioni ti evoca?
Senza colore e senza forma,
senza voce, senza odore e senza dolore
è il suo stare in questo mondo.
Come per la poetessa Wisłava Szymborska, anche per ognuno di noi la materia può diventare uno strumento che aiuta il pensiero ad esprimersi attraverso delle metafore significative.

Un ringraziamento speciale a Lucia Pec e Mascia Premoli per i preziosi contributi.
Se sei interessat* all’uso creativo dei materiali, iscriviti al gruppo Facebook The grammar of matter per continuare l’esplorazione.