Come si può indagare lo stupore?
Un giorno sono scesa nel giardino sotto casa con questa domanda in testa, pronta a meravigliarmi, a cogliere dettagli di particolare bellezza e a fotografarli, cercando di osservare tutto il processo… Ma quel giorno non successe proprio nulla. Nonostante la natura fosse sempre lì, bella e generosa, niente colpì il mio sguardo in particolare.
Questa piccola delusione mi insinuò il dubbio che l’intenzionalità, a volte, possa diventare un ostacolo: forse lo stupore non si può cercare. O meglio: se lo cerchi, non lo trovi.
Ho provato allora a ripensare ad alcune “vecchie” passeggiate in cui, per caso, mi sono imbattuta nella meraviglia, cercando di individuarne gli elementi ricorrenti: una lista di indizi che caratterizzano la mia esperienza dello stupore. Esiste un comune denominatore?
Il primo indizio è semplice e conferma il mio sospetto sull’intenzionalità: non stavo cercando niente di speciale e non mi aspettavo nulla. Semplicemente qualcosa è successo, oppure a un certo punto ho notato qualcosa, senza motivo apparente.
Il secondo elemento sempre presente è una specie di spazio vuoto interiore, necessario affinché lo stupore possa aprirsi un varco. La mia mente non era occupata dai soliti mille pensieri. Magari perché ero troppo stanca per pensare o perché era una pigra domenica mattina… Insomma, per qualche motivo, la mente era quieta. Potrei definire questa qualità come un vuoto sensibile e ricettivo.
Terzo indizio: lo stupore si svela attraverso i dettagli e le piccole cose. È delicato, gli piace giocare a nascondino, mentre non sopporta il rumore e la fretta.
Quarto indizio: accade attraverso i sensi, quindi si tratta di un’esperienza estetica più che intellettuale.
Potrei anche azzardare una connessione con la bellezza, se non percepissi la parola “bellezza” troppo complessa e nello stesso tempo generica, difficile da definire. Forse è più utile cercare, nelle esperienze di stupore, le qualità estetiche ricorrenti che personalmente associo alla bellezza.
Ne ho trovate almeno tre:
- Il vento e il movimento dell’aria
- Una luce particolare (molto calda ma non troppo forte) che interagisce con alcune superfici, creando ombre e trasparenze
- E naturalmente le foglie. Non una foglia qualunque, ma “quella” foglia, in quel momento e in quel posto preciso, da quel certo punto di vista e attraverso “quella” luce.
Mi chiedo se ogni persona possieda delle proprie qualità estetiche associabili all’esperienza della meraviglia. Forse questi elementi estetici personali sono connessi in qualche modo alle nostre radici, ai luoghi in cui siamo nati, ai nostri primi incontri con il mondo.
Indizio numero cinque: mi sentivo immersa in quello che stavo guardando, come se i confini diventassero meno definiti e il mio ego scomparisse per una frazione di secondo. Non ero più Roberta Pucci, nata a Fano, atelierista, eccetera eccetera… Ero solo una consapevolezza che stava osservando. Per qualche istante, anche la percezione del tempo sembrava alterata, una piccola oasi di tempo sospeso.
Questa sensazione è tanto coinvolgente quanto fragile. Scompare facilmente, soprattutto se tentiamo di catturarla con un video o una fotografia.
Ecco dunque il sesto indizio: anche la fotografia può essere un ostacolo all’esperienza dello stupore.
Per quale motivo? Credo a causa del punto di vista da “osservatore esterno” che è necessario assumere.
Per fotografare qualcosa, infatti, come per esempio una foglia, devo osservarla da una certa distanza, cioè posizionarmi “al di fuori” di una connessione con quella foglia, tornando nei miei panni e guardandola attraverso l’obiettivo.
Tutto questo mi fa pensare ad alcuni contesti educativi, in cui l’insegnante riversa sui bambini un mare di parole, domande, osservazioni, mentre prende appunti e scatta fotografie per documentare, magari proprio nel momento in cui un bambino è attratto da qualcosa e si trova sull’orlo di quelle sensazioni così sottili appena descritte. Credo che come adulti-educatori dovremmo fare più attenzione a tutelare questi momenti tanto preziosi e delicati. È vero che lo stupore costituisce l’inizio di un apprendimento significativo, ma prima di tutto è ossigeno per la nostra anima e non uno strumento didattico!
Infine, una domanda: dove accade lo stupore? Nel mio caso, a contatto con la natura, specialmente in certi giardini che amo; ma forse ognuno ha i suoi luoghi speciali.
Forse lo stupore è potenzialmente ovunque, ma solo alcuni incontri possono attivarlo, oppure possiamo trovarlo grazie a un certo stato d’animo?
E se lo straordinario fosse nascosto nell’ordinario?
Come questi indizi e la nostra esperienza personale ci possono aiutare a riconoscere lo stupore dei bambini, a proteggerlo, a dargli valore?
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate e magari aggiungere altri indizi a questa mappa.
Vi auguro buoni incontri con la meraviglia, senza cercarla, tenendo aperti occhi, mente e cuore.