Perché i bambini smettono di disegnare?

Di Nona Orbach – Traduzione di Roberta Pucci

 

In molte scuole dell’infanzia israeliane si sta verificando un fenomeno preoccupante. A un certo punto, molti bambini smettono di scarabocchiare e disegnare spontaneamente, sentendosi frustrati da queste attività e definendo “brutte” le loro opere.

In queste scuole, spesso l’insegnante consegna ai bambini delle fotocopie con dei disegni prestampati o disegna lei stessa qualcosa che poi i bambini andranno a colorare. Il risultato è che i bambini tendono a confrontare i loro disegni con quelli stampati o disegnati dall’adulto. Così si interrompe il processo naturale di sviluppo del disegno nell’infanzia, che passa attraverso la fase dello scarabocchio.

Tempo fa, un’insegnante mi chiese di intervenire per rimediare a questa situazione, ponendomi implicitamente la domanda: è ancora possibile intervenire per far sì che i bambini tornino a scarabocchiare in modo gioioso e spensierato, senza ansia da prestazione e modelli di riferimento?

Ecco la mia risposta. Una mattina sono andata a scuola e ho allestito un’attività per un piccolo gruppo di bambini: il “tavolo punto-linea”. Ho disposto sul tavolo dei fogli di quattro diversi tipi di carta e alcuni strumenti per disegnare solo di colore nero (pennarelli di varie dimensioni, penne e matite).

 

“Cos’è questo?” chiese un bambino avvicinandosi.

“È il tavolo degli scarabocchi” risposi. “Vuoi provare?” 

In pochi minuti, i bambini facevano già la fila per sedersi al tavolo punto-linea, dove si sentivano legittimati a scarabocchiare e creare diversi tipi di linee. Mi affrettai ad appendere i loro lavori sulla parete accanto al tavolo.

 

“Perchè li appendi? Sono solo scarabocchi…” chiesero alcuni bambini. “A me piacciono molto gli scarabocchi. Guardate quanti tipi diversi! Ne conoscete qualcuno? Possono essere utili anche per altri bambini, magari verrà loro voglia di provare.”

 

Qual è il significato di questo intervento?

L’utilizzo esclusivo del nero attraverso strumenti “lineari” come matite, penne e pennarelli sollecita la mente ad esplorare forme, punti e linee. Ciò riconduce immediatamente i bambini al loro stadio naturale dello sviluppo grafico, facendo sì che il processo spontaneo possa riprendere il suo corso. La presenza di altri colori avrebbe probabilmente portato a ripetere degli schemi e dei modelli (arcobaleni, cuori, fiori, eccetera).  

Nelle settimane seguenti, quasi tutti i bambini ricominciarono a scarabocchiare e la loro frustrazione per i disegni “brutti” scomparve.

All’interno della scuola, le schede da colorare vennero abolite, rendendo i genitori partecipi delle motivazioni della scelta, con il risultato che molti di essi seguirono il buon esempio anche a casa.

Credo che questo fenomeno di auto-svalutazione, così diffuso tra i bambini in età prescolare, derivi dal modo di intendere l’educazione da parte della società occidentale.

In Israele (e forse in altre parti del mondo), in molte scuole dell’infanzia quasi tutti gli stimoli e gli interventi da parte dell’adulto hanno come obiettivo un apprendimento di tipo cognitivo.

Le competenze considerate più importanti dalla nostra società sono quelle verbali e matematiche. Il gioco e le attività artistico-espressive, quindi, sono spesso “manipolate” e direzionate per questi obiettivi, come quando un bambino di quattro anni viene invitato a copiare un’immagine. Insegnare a un bambino in età prescolare come disegnare una figura umana, correggendo i suoi disegni spontanei, rappresenta un’intrusione e un grave ostacolo al suo sviluppo.

Il mondo occidentale ama e reputa importante tutto ciò che può essere misurato: numeri, tabelle, valutazioni scientifiche. Ma come possiamo misurare la curiosità, il gioco, il piacere, la gioia, l’immaginazione, la gentilezza? Si tratta di elementi “qualitativi” non “quantitativi”. Sono queste qualità a renderci umani, molto più dell’abilità precoce nella lettura e nella scrittura.

Troppo spesso nelle scuole vengono elogiati e incoraggiati solo i disegni con una funzione rappresentativa, mentre è molto raro un elogio al gioco, all’immaginazione, al piacere del fare fine a se stesso.  

Forse a volte dimentichiamo di non essere creature unicamente “cognitive”.

 

Liat Shmerling propone il tavolo “punto-linea” alla sua bambina

Questo post fa parte del progetto Grammar of drawingun viaggio per esplorare il linguaggio espressivo del disegno, a cura di Suzanne Axelsson, Nona Orbach e Roberta Pucci.

Tutti gli articoli sono tradotti in 4 lingue:

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