Ogni materiale possiede delle qualità che lo caratterizzano, delle regole insite nella sua natura, attraverso le quali può essere trasformato e che costituiscono l’insieme dei suoi limiti e delle sue potenzialità. È una specie di “grammatica naturale”, che possiamo scoprire in modo empirico. Come?
Osservando il materiale, trasformandolo senza forzarlo in una forma pensata a priori, con un approccio rispettoso, con la curiosità e la discrezione di un ospite. Restando in questa dimensione di “ascolto” e dialogo, sarà il materiale stesso a suggerirci cosa fare. Un foglio di carta, per esempio.

Basta prenderlo in mano per capire che si può piegare. Ma in quanti modi? Questa semplice azione apre un mondo di possibili variazioni: diverse inclinazioni, dimensioni, proporzioni, diverse forme del foglio di partenza, e così via. Avremmo potuto immaginare tutte queste possibilità, senza un’indagine scrupolosa?
Allo stesso modo, possiamo investigare molte altre azioni (stropicciare, bucare, tagliare, arrotolare, bagnare…) e combinarle tra loro. Più ricco diventerà il nostro inventario, maggiori saranno le scelte a nostra disposizione per trasformare in modo creativo il materiale.

La carta è un materiale che possiamo trovare in diverse forme, texture e grammature. Ciascuna tipologia presenterà sia delle caratteristiche comuni (agli altri tipi di carta) che alcune specifiche particolarità.
Prendiamo, per esempio, un rotolo di carta igienica: le azioni di piegare e tagliare sono sempre possibili, ma influenzate dalla forma cilindrica e dalla pesantezza del cartoncino, per cui origineranno dei risultati diversi.

Lo stesso vale per tutti i materiali, dai più semplici ai più complessi, fino ad arrivare ad alcuni veri e propri oggetti (come – nello specifico della carta – quotidiani, riviste, libri, cataloghi).
Ma perché è importante studiare questa “grammatica”? Non sarà noioso o sterile usare un materiale solo per conoscerlo, senza un obiettivo preciso o la realizzazione di un certo prodotto?

Separare il processo di ricerca fine a se stesso dalla creazione di un prodotto specifico può apparire un poco forzato, dal momento che questi due aspetti sono in realtà collegati e complementari. Tuttavia, l’esplorazione approfondita di un materiale a prescindere dal prodotto è un esercizio molto importante, per poter scoprire tutte le potenzialità tecnico-espressive ed utilizzarle al meglio in ogni contesto.


Nel caso di alcuni materiali, come la creta, la “grammatica” coincide in gran parte con ciò che definiamo “tecnica”, ovvero quel complesso di norme e informazioni codificate, tramandate nel tempo, indispensabili per lavori professionali o di una certa complessità.
Per esempio, se vogliamo cuocere un’opera in creta, dobbiamo sapere come evitare la formazione di bolle d’aria per evitare che il pezzo si rompa in cottura, e così via. Questo tipo di conoscenza, tuttavia, non può sostituire quella fatta in prima persona, attraverso le nostre mani: come reagisce il materiale alle nostre azioni e come si trasforma? Con quali risultati?

Seguendo un aumento graduale di complessità, l’esplorazione può proseguire attraverso l’incontro tra due o più materiali: quali dialoghi possibili tra diverse grammatiche? Paradossalmente l’interazione con “il diverso” (e la ricerca di un dialogo possibile) fa emergere ancora di più le specifiche identità, svelando dei confini generalmente inesplorati.
Forse i materiali ci possono anche offrire una metafora significativa delle nostre modalità di relazione con il mondo e con gli altri. Esistono infatti delle connessioni tra mondo esterno e mondo interno, tra materiali e interiorità, che non si traducono con interpretazioni lineari e univoche, ma sono fatte di sottili e complesse corrispondenze (per approfondire vedi post “Dialogo con un foglio di carta”).


A tutti i livelli, da un laboratorio all’interno di un contesto educativo alla progettazione di un oggetto industriale, l’utilizzo di un materiale nel rispetto della sua natura genera una modalità relazionale più autentica, ecologica, oltre che un risultato estetico più piacevole e coerente.
Come spiega Bruno Munari nel libro “Da cosa nasce cosa”, un modo per imparare questo approccio è osservare la natura. Forme semplici come la goccia d’acqua o forme più complicate come quella della mantide religiosa sono tutte costruite secondo leggi di economia costruttiva. In una canna di bambù lo spessore del materiale, il diametro decrescente, la sua elasticità, la disposizione dei nodi, , rispondono a precise leggi economiche: più rigido si romperebbe, più elastico non sopporterebbe il peso della neve. C’è un limite oltre il quale non si può andare, nel senso della semplicità costruttiva.

Per esempio, il classico fiasco di vetro soffiato ha una forma logica rispetto la materia: infatti la sua forma non è altro che la forma della goccia di vetro fusa, dilatata dal soffiatore. Questo vuol dire che è una forma logica, dove lo spessore è uniforme su tutta la superficie, come le bolle di sapone. Non si può fare una bottiglia quadrata con il vetro soffiato, perché la forma quadrata è innaturale rispetto al processo di espansione di questo magma incandescente che è il vetro.

Come conseguenza, pare che una cosa esatta sia anche bella, per cui l’osservazione delle forme naturali risulta molto utile al designer, il quale si abitua ad usare i materiali per la loro natura, per le loro caratteristiche tecniche, e a non usare il ferro dove sarebbe meglio il legno o il vetro dove sarebbe meglio la plastica.
Credo che questo tipo di osservazione sia molto utile anche per chiunque voglia imparare a usare il cento per cento delle potenzialità di ogni materiale senza forzature, assecondando la sua natura.
Non è solo un esercizio: può davvero rivoluzionare il modo di relazionarci con il mondo che abbiamo intorno.

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Buona esplorazione!
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